Quel 17 agosto decisi di andare a trovare Thomas a Danta di Cadore (BL), il meteo prevedeva pioggia nelle zone montane solo dalle 18 in poi quindi il viaggio di 380 km sembrava fattibile e partii in sella alla mia (in)fida SV650 a carburatori.
Partii in una mattina di (troppo) sole che rimase sonnolenta per tutta l’autostrada… o quasi. Sul ponte del Piave trovai il primo cantiere ma avvicinandomi a Belluno comparvero i soliti infiniti lavori in corso (fantasma?) che mi obbligarono a un salto di carreggiata con tanto di dislivelli decisamente poco piacevoli. Ovviamente il doppio senso di marcia (ma io che la pago a fare l’autostrada?) rimase tale anche in galleria e le due corsie (strettissime) erano separate solo da dei “pezzettini” di plastica: più sicuri di così…
Ma i disagi veri dovevano ancora cominciare: uscito dall’autostrada mi trovai una colonna infinita di auto: coda di 20 km fino a Lozzo di Cadore e fotocamere per rilevare i sorpassi illegali sparse un po’ dappertutto (alcune appositamente segnalate dai cartelli). Ciò che non vidi, invece, era una qualsivoglia pattuglia di Polizia, Polizia Locale o Carabinieri che vigilasse o regolasse gli incroci più problematici per smaltire il traffico.
Rassegnato attesi stoicamente sotto un sole di piombo in coda mentre alcuni motociclisti impavidi mi sorpassavano a sinistra, incuranti della linea continua, e a destra…
Un incubo! Nessuna possibilità di percorsi alternativi, tutta la strada in prima o addirittura sfrizionando. Non vidi nessun incidente, semplicemente le strade sono inadeguate per smaltire un flusso di veicoli del genere.
L’unico pezzo veramente godibile fu dai piedi della montagna, dal lago di Santa Caterina, fino a Danta: finalmente un po’ di curve!
Ma ancor più temibile è stato il viaggio di ritorno!
Dopo l’acquazzone durante il pranzo il tempo era migliorato e le strade erano quasi asciutte: alle 16:20 partenza.
Scendendo a metà montagna cade qualche goccia ma niente di preoccupante e tengo un’andatura tranquilla perché sento un rumorino sospetto dai freni (csoprirò in seguito che le pastiglie dei freni anteriori ero finite).
Arrivato sulla statale, passata l’ultima piazzola di sosta, all’improvviso, arriva la pioggia battente e la tuta anti-pioggia è nel bauletto. Impossibile fermarmi.
La pioggia aumenta, la visibilità cala e ovviamente il casco mi si appanna.
Alla fine compare una piazzola di sosta, mi rassegno e mi cambio sotto la tempesta, mettendo nel (santo) bauletto la giacca della moto bagnata fradicia sostituendola con quella della tuta da ginnastica (di riserva) e il tutto lo copro con la tuta anti-pioggia. Se non fosse per i jeans bagnati sarei completamente asciutto.
In quel caldo afoso il casco continua ad appannarsi (mai più Schubert) ma non posso aprire la visiera al primo scatto perché se supero una certa velocità si richiude da sola. Allora procedo tenendo un dito tra casco e visiera e ovviamente una certa quantità di acqua mi entra nel casco.
In mezzo a questa situazione estremamente ostile chi mi telefona? Thomas! (che dovrà attendere).
Arrivo alla prima galleria e la differenza tra l’esterno e l’interno (caldo) è tale che mi si appannano persino gli specchietti della moto! Mai successo prima. Mi fermo nella prima piazzola di sosta (tanto le auto sono tutte ferme) e chiamo Thomas, interrotto solo dal rimbombo dei veicoli che arrivano nell’altra direzione perché quelli della mia corsia sono completamente fermi e non si vede la fine.
Finite le gallerie le condizioni meteo sono tali che all’ultima intersezione prima dell’autostrada faccio segno a un camion di passare avanti e mi ci accodo, lottando con una mano col casco e il coltello fra i denti per tenere la moto in strada.
Imboccata l’autostrada la musica non cambia e la tempesta del secolo mi accompagna fino a Conegliano! Via via che la strada si asciuga saluto il fidato camion e riprendo un’andatura accettabile fino alla fine di questo memorabile viaggio.